VISIONS OF ATLANTIS
“Pirate II - Armada”
(Napalm Records)
release date: 05 – 07 - 2024
genere: symphonic metal
voto: 3.5


Line up: Clémentine Delauney – vocals, Michele Guaitoli, vocals, Christian Douscha – guitars, Herbert Glos – bass, Thomas Caser - drums

Track list: To Those who choose to fight, The land of the Free, Monsters, Tonight I’m alive, Armada, The dead of the sea, Ashes to the sea, Hellfire, Collide, Magic of the night, Underwater, Where the sky and ocean blend


“To Those who choose to fight” è un piccolo intro che preannuncia alcune delle atmosfere che saranno poi presenti in molte altre tracce. È un tipico utilizzo della prima traccia per preparare l’ascoltatore e introdurlo nell’atmosfera dell’album. Entra sicuramente nella top 3 dei miei brani preferiti dei Visions of Atlas, band attivissima nei festival, ma che in realtà ha conquistato praticamente tutta l’Europa e anche l’America. La particolarità che li caratterizza fin dal loro esordio nel 2000 è la presenza di due voci, femminile e maschile, che si alternano continuamente all’interno dei brani. Indubbiamente piratesco, questo album è perfetto per chi ama Folk, Symphonic ed Epic Metal. Una sorta di parte 2 dell’album “Pirates” in cui la band fa tesoro di quanto appreso e sperimentato nel primo progetto per spingersi oltre con questa Armada e proseguire il viaggio nei mari. Dall’unione di questa strana ciurma italiana, austriaca e francese, ecco che nasce questa avventura interessante da ascoltare dall’inizio alla fine “Tonight I’m alive” può essere tranquillamente considerato il classico perfetto per chi ama il genere, seguito dall’interessante “The dead of the sea”, caratterizzata da un’atmosfera imponente, da un bellissimo inizio di brano e da parti strumentali che evidenziano l’impianto orchestrale e coristico. “Ashes to the sea” entra a gamba tesa con la sua vena romantica, caratterizzata dal glockenspiel, dall’ocean e dagli archi, oltre che da una melodia vocale dolcissima e dalla cornamusa, che avvicina il brano al Folk Metal, come succede anche per “Magic of the night”, in generale più interessante di “Ashes to the sea”, per via dei vuoti e dei crescendo vocali e strumentali che creano un’atmosfera sognante, di attesa e sospensione per riprendere con stacchi percussivi che vanno a incrementare di ritmo fino ad unirsi ai cori e agli altri strumenti, inoltre sono sempre bene accette le parti strumentali. Il finale è una carezza che prepara all’emotivo brano successivo. “Hellfire” è più aggressiva, soprattutto nei cori che fanno entrare nel vivo dell’atmosfera piratesca e si sommano alla batteria, mentre la voce principale è più lirica. Gli stacchi e le pause sono potenti e con le armonizzazioni cupe preparano ad un assolo di chitarra un po’ troppo heavy metal per il contesto generale, mentre dello stesso tenore è il solo di “Collide”, però perfetto per quest’ultimo pezzo che, nonostante non sia uno dei migliori dell’album, anzi, risulta a tratti monotono, è comunque ben strutturato ed eseguito. “Underwater” è indiscutibilmente il brano più delicato dell’album e strizza l’occhio ad una melodia vocale pop che punta a imprimersi nella mente, unita a momenti di armonie tipicamente metal e altri classic rock. Tornano le tastiere, gli archi e le cornamuse con un intermezzo che riporta sul sentiero principale tracciato sin dall’inizio dell’album. Indubbiamente interessante l’ultimo brano, tutto da scoprire, di cui non anticipo nulla, avendo già parlato praticamente di tutte le altre tracce. È sicuramente un pezzo che racchiude tutto ciò che è stato ascoltato finora con influenze vocali che a tratti possono prendere dal punk e in altri si avvicinano a un uso più lirico della modulazione. Gli intermezzi musicali meritano di essere menzionati, ma per non aggiungere altro, scrivo solo che è un finale perfetto oltre che, probabilmente, la mia traccia preferita. In generale crescendo, pathos sia strumentale che vocale, rendono questo album piacevolissimo da ascoltare, sia secondo l’ordine delle tracce che in riproduzione casuale. Sebbene personalmente io abbia le mie tracce predilette, credo che l’intero album sia valido.

Vittoria Montesano

REMEDY
“Pleasure beats the pain”
(Escape Music)
release date: 24 – 05 - 2024
genere: melodic rock metal
voto: 3

Line up: Robert Van der Zwan - vocals, guitars, Roland Forsman - guitar, chorus line, Jonas Dicklo - bass, chorus line, Fredrik Karlberg - drums, Jonas Öijvall - keyboards

Tracklist: Crying Heart, Moon Has The Night, Sin For Me, Angelina, Bad Blood, Caught By Death, Hearts On Fire, Poison, Girl’s Got Trouble, Something They Call Love

Se amate le influenze tra generi, mantenendo come chiave principale il melodico e una persistente influenza rock degli anni ’80, vi piacciono i suoni degli Slash’s Snakepit, amate Ozzy Osbourne e i Kiss, ecco che qui potreste sentirvi a casa, in un’unione di rock, metal e pop. Pur non essendo un album particolarmente entusiasmante e innovativo, rimane saldo sui classici soddisfando certamente le esigenze dei tradizionalisti. La band svedese unisce melodie accattivanti e riff potenti, cori metal, in un mix che funziona e si lascia ascoltare. Ci sono tracce che sono più coinvolgenti di altre e con un tiro particolarmente coinvolgente, come “Girl’s got trouble”. Particolarmente anni ’80 nell’impianto generale è “Moon has the night”, esula un po’ il bridge prima del ritornello ed è interessante l’intervento di sax. Indubbiamente coinvolgente, cantabile e pop rock, è una delle tracce da considerare come una delle meglio riuscite. Segue “Angelina” che ha un intro incredibile, riconducibile al rock di fine anni ’70 e ’80 per passare immediatamente a riff più cattivi che sono interrotti da ritornelli tipicamente pop rock anni ’80, anche grazie alle tastiere, caratterizzati da una cassa che batte i quattro quarti prepotentemente, mentre le chitarre intervengono svuotando o in palm-muting, ricordando vanamente i Van Halen, per poi avere un bridge inaspettato che precede un solo melodico molto piacevole. Insomma, assolutamente un brano da ballare e cantare con la musica nelle cuffie. Saltando subito alla conclusione, la canzone più romantica e acustica, solo voce e chitarra arpeggiata, è l’ultima, che chiude l’album con archi commoventi e un testo strappalacrime. Nonostante ciò, rimane un brano molto bello, emotivo, caratterizzato da armonizzazioni che emozionano e non annoiano. Il cantato non è esagerato, ma comunica esattamente quello che deve comunicare con l’impianto orchestrale dei violini e archi che aiuta il climax. Come brano potrebbe sembrare un mix incredibile tra le ballate dei Green Day, quelle di Liam Gallagher e degli Struts. È una conclusione inaspettata, che ho apprezzato, nonostante sia totalmente distaccata dal resto delle tracce e sia senza dubbio la traccia da accendini e torce negli stadi.
Insomma, un album comunque consigliato, quantomeno da ascoltare e, semmai, se siete nostalgici, da acquistare.

Vittoria Montesano