Ott 12

WIND ROSE “Trollslayer”

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WIND ROSE
“Trollslayer”
(Napalm Records)
release date: 04 – 10 - 2024
genere: epic metal
voto: 4,5

Line-up: Francesco Cavalieri - voice, Claudio Falconcini - guitar, Federico Meranda - keyboards, Cristiano Bertocchi - bass, Federico Gatti – drums.

Tracklist: Of Ice and Blood, Dance of the Axes, The Great Feast Underground, Rock and Stone, To Be a Dwarf, Home of the Twilight, Trollslayer, Legacy of the Forge, No More Sorrow

L'esercito pisano di power metal in stile nanico: i Wind Rose tornano alla ribalta con il nuovo album, Trollslayer: esplodendo sulla scena con apparizioni virali sui social e accumulando quasi mezzo milione di follower. Con quasi un milione di ascoltatori mensili, i Wind Rose hanno consolidato la loro reputazione di potenza nella moderna scena power metal italiana e non solo. Tutti ricordano il successo di questi ragazzi, "Diggy Diggy Hole" di Wintersaga, che ha accumulato oltre 50 milioni di streaming e visualizzazioni su tutte le piattaforme. Il loro album successivo, Warfront, ha ulteriormente consolidato la loro popolarità, debuttando nella Top 10 della classifica US Current Hard Music Albums. Trollslayer arriva subito prima del loro tour europeo più grande e immenso di sempre insieme a Powerwolf e Hammerfall, e promette la miscela perfetta di inni da festa distintivi insieme a tracce selezionate più profonde e serie. Dopo una intro piacevole, con “Dance of the Axes” si entra di colpo in un giro di doppia cassa coinvolgente, ma la cosa che colpisce subito é l'approccio vocale diverso, più aggressivo e meno importato alla pura tecnica cristallina tipica dell'epic. I cori sono imponenti e riempiono un canovaccio armonico fatto di archi e chitarre che banchettano insieme. Si entra nell'atmosfera vichinga. “The Great Feast Underground” spiazza con sua partenza quasi punk, Dropkick Murphys a piene mani con cori e sinth simili a cornamusa. Pur mantenendo un senso tipico delle altitudini fredde dell'Europa, esce da quel bisogno di pomposità tipico del genere, scegliendo di dedicarsi al chaos (in senso buono). La linea persiste alla grande, meno incisiva, per non esagerare, ma con la stessa energia in “Rock and Stone “, dove l'atmosfera punk si affievolisce a fronte di un tema più consueto. La voce esprime un tono imponente, avvicinandosi a un inno sul ritornello che dà davvero la carica! Ritmica incalzante e atmosfera da osteria per “To Be a Dwarf”, dove sembra proprio di immergersi in un epoca in cui i boccali di birra erano fatti di corno e di ceramica. La melodia segue la voce e i cori più che supportare la voce sembra vogliano divertirsi insieme come vecchi amici che alla fine della giornata di lavoro si godono qualche ora insieme. Si torna a una sequenza più classica con “Home of the Twilight“ dove il "clavicembalo" segue una sua linea e si armonizza alla perfezione con la voce. Grazie alla ritmica e alle chitarre rigorose, tutto appare melodicamente perfetto. “Trollslayer” ha un suono molto epic, con chitarre e synth che vengono stravolti da una potenza vocale molto trash metal, nonostante la ritmica si adagi perfettamente nel mondo delle fate e degli elfi. “Legacy of the Forge” prosegue come la precedente, inserendo però un sound più austero e una serie di cori che regalano un a forza musicale davvero affascinante; quasi malinconica in certi punti. “No More Sorrow”, capolavoro! 7 minuti di intensa melodia, cambi e continue sorprese: la voce entra con un tono in certi versi nu metal, pop, e chi più ne ha più ne metta, i cori però, richiamano al sound classico al quale siamo abituati in tutto il disco. Poi buuum, un ritornello da pelle d'oca, batteria dimezzata e cori all'unisono con la voce in un tripudio di rabbia e tristezza. Pelle d'oca. Poi ancora veloce per una strofa sempre più montagna russa. Proseguendo con continui saliscendi in cui la canzone più lunga del disco arriva alla fine e ci si sente pronti per riascoltarla immediatamente. Un album ricco di sorprese e sonorità inaspettate, che aggiunge al classico sound epic metal, alcune parti addirittura punk, sotto certi aspetti. Originale sotto tanti punti di vista. Che dire: italians do it better! Bravi ragazzi, un album veramente valido!

Iven

Ott 06

STRYPER
“When We Were Kings”
(Frontiers Music s.r.l.)
release: 13 - 09 - 2024
genere: heavy metal / christian metal
voto: 4

Line up: Michael Sweet - lead vocals‎, lead & rhythm guitar, Robert Sweet - drums, Oz Fox - lead & rhythm guitar, vocals‎, Perry Richardson - bass, vocals

Tracklist: End Of Days, Unforgivable, When We Were Kings, Betrayed By Love, Loves Symphony, Trinity, Rhyme Of Time, Raptured, Grateful, Divided By Design, Imperfect World

Nuova fatica discografica per gli iconici Stryper che celebrano il 40° anniversario (14° studio album), guidati dai fratelli Michael e Robert Sweet (riconosciuti tra i fondatori della corrente christian metal). Il gruppo torna sulle scene con un disco potente, evocativo ed elegante, votato in modo abbastanza consistente alle tonalità maggiori e ad una certa epicità, ma non mancano i momenti più sofferti ed introspettivi, arrivando anche a sonorità “cattive”... e non mancano neanche alcune influenze e riferimenti: la consueta mescolanza di colori e sensazioni della band americana (sullo sfondo di concetti ispirati a testi biblici e vangeli). Il set si apre con “End of Days”, intro sincopata in half-time (batteria) con influenze alla Yngwie Malmsteen (tornerà negli intermezzi, con doppia cassa), successiva apertura in una veloce “corsa epica” (appunto) in stile Helloween (e altri brani passati degli stessi Stryper), con ritornelli “ariosi”: assolo in tre parti, lirico, virtuoso e poi intrecciato tra le due chitarre verso l’ultimo ritornello, chiusura finale con passaggio che richiama la intro. Proseguiamo con “Unforgivable”, brano di media velocità carico di malinconia e solennità (a conferma del titolo) che si apre con degli stacchi delle chitarre su accordi aperti, per proseguire con la classica struttura strofa-ponte-ritornello per due volte, di nuovo stacchi (raddoppiati), viaggio negli assoli dialoganti delle chitarre, special, ritornello finale e chiusura. Si passa poi alla title track, “When We Were Kings”, in cui troviamo una continua alternanza tra strofa e ritornello, tonalità minore / maggiore, che crea un contrasto di impatto tra i momenti “del racconto”, assolo centrale e sezione finale: il pezzo segna l’inizio di una sorta di sequenza in cui sono presenti diversi “scenari” ballad e power ballad (circa la metà del materiale musicale), come la successiva “Betrayed By Love”, melodiosa e suadente, per quanto il contenuto sia nostalgico e struggente, con intro di chitarra acustica che apre poi tutto il flusso musicale, batteria suonata quasi “indietro” che ti tiene incollato all’ascolto e coadiuvata dal resto degli strumenti, un trasporto dall’inizio alla fine. “Loves Symphony” parte con degli stacchi suonati e cantati insieme, con uno stile e una carica che sembrano quasi alternative rock/punk-rock (alla Phil X & The Drill), per continuare poi il consueto binomio minore (strofe) e maggiore (ponti/ingressi + ritornelli, i quali sono più sinfonici, come dice il nome del brano stesso), intermezzo di nuovo minore, sincopato, e molto “heavy”, lungo assolo (sempre dialogato tra le chitarre), ritornello finale e chiusura come l’interemezzo. Al centro del disco, si trova la potentissima “Trinity” (in cima alle mie preferenze), in cui sento un ingresso alla Europe (modern era), intro/intermezzi alla Megadeth (la parte hard rock dei californiani), batteria con lontana ispirazione alla Portnoy e il resto “Stryper Factory”, struttura standard verse-bridge-refrain, in cui il ritornello risulta molto sostenuto per via del groove di batteria in controtempo (seguito dal resto dei musicisti): successivamente arriva un intermezzo in half-time (vagamente Whitesnake), prima dello “speed solo” (sempre in stile Megadeth), di nuovo il bridge e l’ultimo ritornello, raddoppiato, chiude questo “hot piece”. Incontriamo il bellissimo singolo “Rhyme Of Time”, allo stesso tempo “lamentoso e sognante”, velocità medio-lenta, batteria dal tocco “poetico”, intreccio delle chitarre nella intro (una portante che torna nei ritornelli, e una che anticipa il tema vocale, riferito sempre al ritornello), tonalità minore che cambia in maggiore unicamente nell’assolo, un altro brano che trasporta l’ascoltatore, ma in un mood più cupo. Altra traccia, altra alternanza minore-maggiore per “Raptured”, in questo caso una sensazione “bluesy”, con influenze Deep Purple / Gotthard (e nella vocalità un po’ Europe / Malmsteen / Michael Vescera), sospesa e spigolosa, verso il ritornello arioso e “classicistico”, in un susseguirsi lineare. Con l’avvolgente “Grateful” torniamo invece alle ballad, uno stile che ricorda l’alternative rock ma anche le stesse ballad hard rock (di nuovo Whitesnake, nel periodo recente, ma si potrebbero fare vari nomi...), semplice, “morbida” e di impatto. Penultima traccia, (assimilabile ad un) half-time, hard rock consistente che arriva dritto in faccia per “Divided By Design” (ancora influenza Europe contemporanei), dopo la metà vede un cambiamento radicale del groove, passando da half a standard/double con successiva aggiunta del doppio pedale / doppia cassa in concomitanza degli assoli, per poi tornare alla struttura iniziale e concludere. “Imperfect World”, unico brano dal tempo composto (“terzinato”), chiude il disco in modo pieno e “debordante”, con una certa epicità, per ribadire il consueto pensiero, anche in un “mondo imperfetto”... e non può mancare il dialogo tra le chitarre, negli assoli, in classico stile botta e risposta alla Iron Maiden: dettaglio interessante, l’effetto di leggero phaser sulla voce prima dei ritornelli. Arrivati alla conclusione, si può dire che i musicisti abbiano dato nuovamente il meglio di sè, come di consueto, (compresi i musicisti aggiuntivi, Paul McNamara alle tastiere/organo/synth e Charles Foley con Keith Pitmann per cori e voci secondarie): una nota particolare sul basso, che appare leggermente meno in primo piano rispetto al passato (per quanto non sia una sua prerogativa principale), ma è comunque ben presente, denso e riconoscibile dai molti abbellimenti. Composizione buona, begli arrangiamenti musicali e di produzione (affidata a Michael Sweet), esecuzione impeccabile, mixaggio e finalizzazione perfetti (un grande plauso agli audio engineers), realizzazione come sempre di alto livello: copertina evocativa, biblica, mistica (un altro marchio di fabbrica Stryper). Prodotto che “arriva” agevolmente da subito, ma con più ascolti si apprezza ulteriormente. Decisamente promosso... e anche questa volta... “siamo stati guariti” (Isaia 53:5)

Fra "ZMG"