BLUE ÖYSTER CULT
“Ghost Stories”
(Frontiers Music Srl)
release: 12 – 04- 2024
genere: classic rock
voto: 4.5


Band e line-up attuale:
Considerando la formazione di maggior successo (e storica): Eric Bloom (voce e “stun guitar” -ritmica-); Donald “Buck Dharma” Roeser (chitarra solista, cori); Albert Bouchard e Rick Downey (batteria, percussioni e cori) con sovraincisioni di Joe Bouchard (basso e cori), Allen Lanier (tastiere, chitarra ritmica e cori).
Gli attuali membri della band, oltre ai fondatori Roeser e Bloom, sono Richie Castellano (tastiere, chitarra e cori) – che “sostituisce” Allen Lanier – mentre Danny Miranda (basso e cori) che prende il posto di Joe Bouchard, e Jules Radino (batteria e percussioni) suonano oggi con i BÖC, ma non sono direttamente coinvolti nella realizzazione del disco.

Tracklist: Late night street fight, Cherry, So supernatural, We gotta get out of this place, Soul jive, Gun, Shot in the dark, The only thing, Kick out the jams, Money machine, Don’t come out running, If I fell

I Blue Öyster Cult, nati nel 1967 a New York, non possono che essere rappresentanti del classic rock con contaminazioni heavy metal, ma anche di blues e del buon vecchio, caro rock ‘n’ roll e pizzichi southern rock, che spesso aggiunge un tocco di groove. La band negli anni ’70 e ’80 vive il periodo d’oro, di nostro interesse perché, dopo il successo del loro 50° anniversario – celebrato con un album con 24 tracce di live del tour dello scorso anno – fa uscire un disco molto interessante: “Ghost stories”. Semplicemente frutto della contingenza di un’occasione e dell’entusiasmo, come affermano Richie Castellano e Steve Schenck (anche produttori del progetto), questo album riesamina e riprende canzoni mai finite e registrazioni incomplete del periodo compreso tra il 1978 e il 1983, ma anche cover portate sul palco e in studio in quegli anni. L’unica eccezione è costituita dall’ultima traccia “If I fell”, del 2016: una bellissima cover dei Beatles, resa in acustico, asciugata rispetto all’originale, con meno chitarre, ma con una scelta interessante per quanto riguarda le percussioni. Ovviamente, vengono mantenute le armonizzazioni dei cori del quartetto di Liverpool. Il lavoro fatto su questo disco è impressionante: vengono sbobinate le tracce originali (comunque multitraccia), anche con l’aiuto dell’ingegnere del suono di allora: George Geranios, ma il materiale spesso è da rieditare, recuperare, sovra-incidere, risuonare, ricostruire, regolare di nuovo… e alcune canzoni incomplete devono essere concluse, ma alla fine il mixaggio avviene, come in un qualsiasi disco editato oggi. Le influenze che si sentono in questo album sono inerenti alla musica contemporanea agli anni di riferimento: c’è il rock classico – e possiamo citare indifferentemente sia i Beatles che i Rolling Stones – da cui vengono ripresi sia il rock ‘n’ roll, sia il groove del blues, ma anche i cori; c’è il blues rock in tutto il suo splendore e poi troviamo suoni e voci che riconducono a band come gli Who e gli Yes e cori che si avventurano nelle voci graffianti e sregolate e l'attitudine del punk degli MC5, per tornare a un rock più misurato come quello degli Animals e sprazzi di sound anni ’80. È un disco divertente da scoprire con curiosità anche per quanto riguarda le cover, a mio parere i pezzi più interessanti dell’album. Troviamo allora “Kick out the jams” degli MC5 e “We gotta get out of this place” degli Animals. Fa parte delle mie predilette anche “Soul jive”, inizialmente “Jungle fever” (di cui esiste una bellissima cover dei The Brain Surgeons di cui ha fatto parte Albert Bouchard). Che dire? È un equilibrio di ostinati e di stop e riprese, oltre che botta e risposta tra ostinati vocali e musicali che si tuffano in progressioni che si concludono con il riff che domina il brano e un solo niente male. Non mi fanno impazzire i due singoli pubblicati in attesa dell’uscita dell’intero album, ma visto che siamo in dirittura di arrivo, direi che non è più un problema. Comunque, se “So supernatural” e “Don’t come running to me” non vi avessero entusiasmato, io comunque a queste “Ghost stories” riesumate dal passato, una possibilità la darei. Certamente è interessante ascoltare come tutto il lavoro di “restauro”, “campionamento”, sovra incisione, editing e mixaggio delle tracce ha portato a un risultato piacevole e coinvolgente, ma, tecnicismi a parte, è un album sicuramente da ascoltare e, se vi piace il rock “vecchio stile”, probabilmente da acquistare.


Vittoria Montesano

Apr 10

CRUZH
“The Jungle Revolution”
(Frontiers Music srl)
release: 22 - 03 - 2024
genere: street – glam metal
voto: 3

Line up: Alex Waghorn – lead vocals, Anton Joensson - guitar, background vocals, Dennis Butabi Borg - bass, background vocals, Johan Öberg – guitar, Matt Silver – drums, background vocals

Tracklist: The Jungle Revolution, Angel Dust, FL89, Killing In The Name Of Love, SkullCruzher, At The Radio Station, Split Personality, Sold Your Soul, From Above, Winner, Gimme Anarchy

Un altro combo di glam rocker sempre dalla prolifica Svezia. Oramai è più di un ventennio che la culla dello sleaze, dello street e glam metal è di casa nei paesi nordici. Quello che una volta viveva e prolificava a Sunset Boulevard oramai è diventato di dominio Europeo. Ma va bene comunque! Se l'America ( a parte alcune eccezioni …) non da più linfa vitale al nostro beneamato genere che siano altri paesi a farlo, l'importante è ascoltare buona musica. E' questo, quindi, il caso dei Cruzh, band formata nel 2013 da ex membri dei TrashQueen e arrivati in questo periodo con la presentazione del loro nuovo e fiammante album “The Jungle Revolution” sempre per l'attenta e prolifica label Frontiers. L'ho ascoltato ripetutamente e per diversi giorni consecutivi e ammetto che questo disco a tratti mi ha esaltato mentre ha qualcosa da affinare sulle linee vocali. Il sound è corposo e frizzante al punto giusto in song quali l'opener “The Jungle Revolution”, oppure più “sostenuto” nel roccioso street metal di “Split Personality”, “Angel Dust” e “Gimme Anarchy” ed invece glamour venato da tinte pop metal su “FL89”. Purtroppo non riesco a promuovere il lavoro del lead singer Alex Waghorn, dotato di una timbrica monocorde e senza colore che, in alcune song riesce a tenere il passo dell'arrangiamento generale ma in altri casi come la lenta “From Above” mette in mostra tutti i suoi limiti. Peccato, sicuramente un album quale “The Jungle Revolution” coadiuvato da lead vocals differenti sarebbe stato un'altra cosa. Album, comunque ed in definitiva, piacevole per gli amanti del genere che però faticherà a trovare nuovi fans.

Roby Comanducci