Line up: Reb Beach – guitars, bass on 4, 9, keyboards on 4, 6, strings on 10, David Throckmorton – drums (except on 6), Robert Langley – drums on 6, Michele Luppi – piano on 3, 10, Phillip Bynoe – bass on 1, 2, 3, 8, 10, John Hall – bass on 5, 6, 7, Paul Brown – keyboards on 1, 2, 5, 7

Tracklist: Black Magic, Little Robots, Aurora Borealis, Infinito, Attack Of The Massive, The Way Home, Whiplash, Hawkdance, Cutting Loose, Sea Of Tranquility

Grandissimo chitarrista, il qui presente Reb Beach è uscito con una nuova “prova” solista, dopo quel “Masquerade” targato 2001 o ancor prima il misconosciuto “The Fusion Demos” (1993), e lo ha fatto nel migliore dei modi. Un classico album strumentale, in linea e stile con quelli che uscivano trent'anni orsono nell'epopea Varney e la sua scuderia di velocisti della sei corde. Dalla sua, questo “ A View From...”, ha la modernità del suono, la registrazione più raffinata e tante accortezze che in quei tempi non erano così evidenti. Il chitarrista di Winger, Whitesnake ma anche per qualche albun Dokken e una miriade di collaborazioni, si lascia apprezzare e da modo di ascoltare il suo gran talento musicale. Eccelso compositore dall'ottima tecnica chitarristica Reb deve molto a maestri quali Satriani, Vai e, soprattutto, lo strepitoso Steve Morse, che ha fatto maturare in Reb tutta la vena più jazz-fusion oriented. Infatti il nostro prende a piene mani da Morse e i suoi Dixie Dregs; ascoltatevi quel capolavoro di song che risponde al nome di ' Attack Of The Massive' e mi saprete dire. Un mix da cardioplama tra rock e fusion di alta scuola. Un brano che da solo vale l'acquisto dell'intero disco. Ma il chitarrista ama anche rockare pesante e lo potete sentire nell'heavy rock dell'opener 'Black Magic' dove non si risparmia in virtuosismi e ci regala, comunque, una song ammaliante, potente ed al contempo ridondante armonia e feeling. Le undici tracce presenti sono tutte di altissima qualità tecnico-compositiva e faranno la gioia degli amanti della sei corde con l'orecchio più “addestrato” all'ascolto di album tecnico-strumentali di alta categoria ma che, di contro, potrebbe benissimo piacere anche ai neofiti di questo genere. Il merito va alla struttura delle song che a volte è anche molto “orecchiabile” e “ballabile” - se mi passate questi termine- frutto di un arrangiamento che miscela con destrezza tecnica ma anche tanta eufonia di base. Ottimo lavoro Beach!

Roby Comanducci

 

 

Line up: Ronnie Romero – vocals, Tony Hernando – Guitars, Jo Nunez – drums, Dani Criado - bass

Tracklist: Dying to live again, Into the black, Deliverance lost, Sacrifice, Brightest star, Closer to your fall, Shadows kill twice, Disease in disguise, Tides of blood, Alchemy of Souls, You came to me (piano version)

Tornano per il terzo disco gli spagnoli Lords of black, non un nome qualsiasi ma la band capitanata da due affermati performer come il vocalist Ronnie Romero (all’opera nientemeno che con i Rainbow nella reunion del 2015) e l’axe man Tony Hernando, entrambi elementi che possono vantare una carriera prolifica e svariati riconoscimenti; i due crearono la band ormai 6 anni fa, band con la quale tornano per il terzo lavoro dopo che la posizione di Romero è stata in realtà in bilico per qualche tempo (risulta tornato in formazione da un anno dopo un lungo stop). Senza dilungarci sulla questione e sulle voci che riguardano la coesione dei due, andiamo a spendere qualche parola su questo disco. Il genere della band è un metal molto classico di chiara impronta Priest/Maiden che però cerca da un lato di innestare influenze prog e AOR, dall’altro di sfruttare le rinomate doti espressive alla voce di Romero, per creare un’alchimia maggiormente accattivante e originale. Il risultato devo dire che è convincente per una serie di ragioni. La qualità della composizione è elevata e le song sono varie, prendendo giustamente a piene mani dal passato ma senza mai risultare stucchevole. Vi sono interessanti digressioni a variare come nel piano in “Shadow kills twice” o nell’introduzione della title-track, quindi con una lodevole elaborazione della forma canzone. La resa tecnica dei membri è ovviamente di livello elevato, e sono anche un apprezzatore della produzione, che rende il suono pulito ma con un tono greve adatto al monicker e allo stile “gloomy” delle lyrics. Come già ricordato la voce di Romero è considerata di grande talento, e forse, anche a causa del poco tempo tra la reunion e le varie collaborazioni del singer, non abbastanza è stato fatto in fase di arrangiamento per ottimizzare il risultato. Risultato che nonostante qualche sbavatura risulta comunque decisamente positivo per quanto mi riguarda: rispetto alla base “classica” menzionata in apertura, risultano numerose le divagazioni e gli spunti per discostarsi, con certo un accento in più sulle occasioni per rendere l’atmosfera più cupa e riflessiva (penso ad esempio a “Brightest star”, ma la stessa title track è un ottimo pezzo). Se forse manca un minimo di amalgama col tornato Romero, è però vero che la parte strumentale è perfettamente curata e decisamente accattivante da ascoltare. In definitiva si tratta di un buon lavoro che vi consigliamo caldamente di ascoltare.

Nikki