Line up: Tom Rampton - vocals, Dhani Mansworth - drums, Tagore Grey - guitars, Tao Grey - guitar and bass guitar

Tracklist: Rat Race, Take It Or Leave It, Lightning In A Bottle, Vampress, Eyes On You, No Way Home, Devil In The Detail, Tough Kid, Hold Fire, 10. Barman, Let’s Make Money, Wrong Way

Gli Inglesi The Treatment formatisi a Cambridge tredici anni fa tornano al full lengh album, il quinto della loro carriera discografica, e lo fanno come consuetudine con il loro grezzo heavy rock, molto sempliciotto e diretto, naturale figliastro del sound che i "canguri di Angus Young" ci hanno abituato ad ascoltare da oramai oltre quarant'anni. In effetti il disco è godibile nel suo incedere ma trattasi di un prodotto che, a mio parere, è destinato ad un tipo di pubblico molto affezionato a sonorità Ac/dc oppure ai più giovani Airbourne. Stiamo parlando quindi di riff rocciosi, crudi, spesso -anche- ripetitivi ma che riescono a far divertire e far passare quaranta minuti di allegria. Questo nuovo "Waiting For Good Luck" non si discosta molto dai suoi predecessori se non per il fatto della new entry Andy Milburn al basso (il singer Tom Rampton invece è già in line up dal precedente "Power Crazy" (2019). Siamo al cospetto di una manciata di robuste rock song senza infamia e senza lode; canzoni che faranno battere il piedino e in alcuni casi potranno galvanizzare i rockers più "focosi" con qualche spassoso air guitar ma che, in definitiva, non aggiungono nulla di nuovo o particolare nel music world. Con questo non voglio denigrare questo lavoro, tracce quali 'Vampress', la cadenzata 'Let’s Make Money', l'ottimo hard blues di 'Barman' e la granitica opener 'Rat Race' sono sicuramente graziose e cariche di energia ma, onestamente, di band e album che "suonano" in questo modo ne troviamo a migliaia. Anche se molti affermano che nel nostro beneamato settore sia stato già fatto ed inventato tutto, è pur vero che -se capita- qualcosa di leggermentre più "nuovo" ed originale fa bene al cuore. Raccomandato esclusivamente agli amanti del genere o a chi non ha eccessive pretese e vuole distrarsi con del buon hard rock suonato, comunque, da bravi professionisti.

Roby Comanducci



Line-up: Geoff Tate - vocals, Aldo Lonobile - guitars, Luigi Andreone - bass, Antonio Agate - keys, Michele Sanna - drums

Tracklist: Once Again One Sin, Strong Pressure, Let It Be, Another Change, Wake Up Call, Remember Me, Anybody Out There, Aria, I'll Be The One,Fly Angel Fly

Il lavoro che vi presento oggi è un risultato assolutamente eccezionale per la scena Hard’n Heavy italiana, il ritorno degli Sweet Oblivion, la band ove milita il leggendario Geoff Tate, un nome che non necessita di presentazioni per i vecchierelli come me, ma per chi avesse bisogno di un aiuto (suvvia, non c’è niente di male) si tratta dell’ex vocalist dei Queensryche, band che ha toccato il suo apice compositivo con Operation Mindcrime e… il resto sarà un piacere scoprirlo da voi. In questo progetto il singer è stato coinvolto con diversi musicisti di primo piano del nostro paese, ma il mastermind dell’operazione è stato Simone Mularoni dei DGM, all’opera alle chitarre e al songwriting nel precedente omonimo esordio della band; lavoro che ha riscosso un ottimo successo che ha portato alla produzione di questo secondo lavoro, dove la band cementa le proprie fondamenta con la partecipazione più attiva degli altri membri alla composizione, incluso un elemento di talento cristallino come Mr. Tate. Dopo la lunga ma dovuta presentazione, veniamo a cosa troverete nel disco. Innanzitutto direi che il pensiero rivolto ai Queensryche che può venire pensando al nome del cantante sicuramente non svanisce dall’ascolto delle tracce, anzi; sarebbe però ingiusto limitare a questo il giudizio. Sbagliato negare che i songwriter di questo album non abbiamo pensato di far riecheggiare tra le tracce il riffing della musica che ha reso celebre Mr. Tate (e tra i songwriter c’è lui stesso) ma il risultato si fa ascoltare in modo molto fluido, riproponendo il genere in modo piacevole e originale senza far cadere il platter nel citazionismo fine a se stesso (visto altrove semmai …). Lo stile di metal classico che alterna riffeggio pesante senza ritmi da cavalcata, strutture maestose, efficace sfruttamento della meravigliosa voce di Geoff si alterna a splendide ballad (“I’ll be the one”) e in generale propone una serie di song molto caratterizzate, atte a costruire un continuo musicale interessante e accattivante. Non ci si stanca a riascoltare il disco, magistralmente suonato, come è giusto che sia, e prodotto in modo molto pulito e cristallino, decisamente moderno e senza cedere alla tentazione di cercare di rinverdire i (soliti) fasti 80s. Un lavoro strumentale decisamente ben fatto, che si suona perfettamente complementare alla linee vocali; se vogliamo davvero criticare, io credo che sia proprio la voce di Tate ad andare spesso a cercare e trovare vocalizzi tipici della sua band più famosa. D’altra parte, questo sembra il modo migliore di valorizzarla, e nel bilancio del disco ha un valore positivo. Non aggiungo altro. Si tratta di un’ottima band che sicuramente merita attenzione, indipendentemente dalla provenienza dei suoi musicisti. Buon ascolto

Nikki